1. Definizione di Mistica

Il termine “mistica” ha un significato preciso, univoco?

Neanche il termine “socialismo” è stato usato in maniera tanto vaga e varia quanto la parola “mistica”. Oggi con estrema facilità si abbina il vocabolo a infinite specificazioni e si sente parlare di “mistica della scienza”, “mistica filosofica”, “mistica erotica”; nel linguaggio comune è in uso l’espressione “crisi mistica” per indicare crisi isterica o conversione, euforia o depressione, interessamento per la religione o dubbio di fede.
Noi non cercheremo di dirimere le questioni, di confutare le opinioni altrui. Vogliamo semplicemente indicare la via che conduce alla Verità.

Che cos’è allora la mistica?

Non è “mai” qualcosa di acquisibile attraverso degli esercizi, delle tecniche ascetiche o dei cammini esoterici. Non presuppone alcuna perfezione morale né tantomeno una evoluzione spirituale simile a quella biologica. Dice Santa Teresa d’Avila: “Non ci si eleva se Dio non ci eleva”; per cui la mistica in quanto “esperienza” è la violenta, improvvisa, irruzione di Dio nell’anima, la loro unione.
I mistici parlano di “incendio d’amore”, di “illuminazione”, di “divinizzazione”, di dono di grazia immeritata e inaudita, indubitabile e incomprensibile al tempo stesso, eccelsa e folgorante, colma di fremente godimento e trasformante. E non è necessario scrivere un trattato per spiegare che cosa significhi “grazia”. Basta far riferimento ad un termine di immediata comprensione: “gratis”.
La mistica in quanto “disciplina teologica” si interessa di studiare le testimonianze di coloro che, nella storia delle religioni, hanno sperimentato quanto abbiamo appena detto e molto più.
Nel corso dei secoli si sono proposte molte definizioni. La più completa è senz’altro quella coniata da P. Albert Deblaere, S.J.: La mistica è “L’esperienza diretta e passiva della presenza di Dio”.

Definizioni:

“L’esperienza diretta e passiva della presenza di Dio” (A.Deblaere, ‘Témoignage mystique chrétien‘)
“Cognitio experimentalis Dei” (Jean Gerson, ‘De Teologia mystica‘ lctiones sex, I, Seconda consideratio)
“Sentiment de présence” (J. Maréchal, ‘Etudes sur la Psycologie des Mystiques‘)

“L’ESPERIENZA DIRETTA E PASSIVA DELLA PRESENZA DI DIO”

“ESPERIENZA”

Noi moderni, quando parliamo di “esperienza”, ci riferiamo a emozioni epidermiche, a tenui tentativi, a scoperte esigue che non hanno niente a che vedere con quello che in realtà si deve intendere con tale termine.
L’esperienza mistica è, piuttosto, qualcosa che ha a che fare con la complessa totalità della vita dell’uomo. Mi spiego: Immagina due innamorati che decidono, per un limitato periodo di tempo, di convivere; questa breve convivenza prematrimoniale non può essere chiamata esperienza, è solo un assaggio di vita a due. Allo stesso modo una settimana di meditazione trascendentale in un tempio buddhista non ci trasforma in asceti. Se vado in vacanza nella foresta amazzonica, non posso dire di aver condiviso l’esperienza degli Indios, perché quest’ultima non dura il tempo di una vacanza. Il più delle volte quelle che chiamiamo comunemente “esperienze” non sono altro che “esperimenti”, temporanei, transitori, superficiali, riferiti a episodi circoscritti, non di rado insignificanti. Ci improvvisiamo coniugi, monaci o Indios, ma in realtà siamo tutt’altra cosa. Non è così per la mistica. Chi la sperimenta si trova inspiegabilmente cambiato e non può che sentirsi un “uomo nuovo”, violentemente attirato da Dio come da una calamita interiore e divenire ebbro, pazzo d’amore.

“DIRETTA”

“Diretto” è tutto ciò che non fa ricorso a “intermediari” e proprio per questo è im-mediato, cioè senza mediazione, non fa uso di immagini, di affetti, di prese di coscienza, di ricordi memorizzati nel corso degli anni. La filosofia ci dice che lo stesso soggetto pensante è a sua volta medium nell’azione conoscitiva, perché ha impresse in sé le immagini di ogni oggetto di conoscenza e se ne serve.
Anche il linguaggio, espressione delle innumerevoli immagini che abbiamo catalogato nel fondo della memoria, diviene mediazione dialogica. Cosa avviene allora quando Dio si comunica “direttamente” all’uomo? Egli produce una realtà interiore assolutamente “nuova” e il mistico, così si chiama colui che riceve questa autodonazione divina, vede in qualche modo svanire, scomparire, tutti gli archetipi psicologici, e non può fare riferimento ad alcuna immagine o stato d’animo, non può esprimere tale realtà interiore con un linguaggio umano, perché le parole non si adattano al divino. Le sue descrizioni letterarie o semplicemente verbali vengono allora differite, cronologicamente, al “dopo”, a quando l’esperienza dell’unione con lo Sposo divino è terminata. Solo allora si andrà in cerca di espressioni linguistiche per descriverla. Esse saranno concettualizzazioni operate “a posteriori” da coloro che ricordano un fatto assolutamente “nuovo” e “irricostruibile”, “passato” eppure “vivissimo”, “cessato” eppure “incancellabile”. Per dirla con una similitudine: il Petrarca non scrive “su Laura”; se l’avesse fatto Laura si sarebbe dovuta lavare per ripulirsi dell’inchiostro del Petrarca.
Il Petrarca scrive “di Laura” quando Laura è assente. Quando era presente i due amanti facevano di sicuro qualcos’altro. Così i mistici: non scrivono mai durante l’unione… sempre dopo.

“PASSIVA”

Essere passivi sotto l’energica azione di Dio non significa diventare degli inattivi.
Purtroppo oggi si considera impropriamente il mistico, lo si immagina come un fannullone tutto preso dalla contemplazione delle cose del cielo, nient’affatto attento e dedito ai bisogni degli uomini. Ma è falso. Bisogna sfatare questo pregiudizio. Questa azione di Dio si potrebbe paradossalmente definire come una “riattivazione passiva”. Sembra un nonsenso, ma è proprio così; ci si accorge di ricevere tutto da un Altro e questa passività genera un’attività incontenibile. La storia ci documenta le riforme, le fondazioni e tutta l’azione di vasto ed efficace rinnovamento che i grandi mistici hanno operato nel mondo, in ogni epoca storica. Dice Bergson che i santi hanno sempre avuto un gran numero di imitatori. I propagatori di bene hanno trascinato dietro di sé folle immense e, pur non domandando nulla, hanno ottenuto. Non è necessario per loro esortare, non hanno che da esistere, la loro esistenza è un richiamo insopprimibile.

“LA PRESENZA DI DIO”

Quel che si avverte immediatamente nella prima grazia mistica è proprio una vivissima sensazione, o invasione, della presenza di Dio in noi. Ciò non è minimamente paragonabile alle facili suggestioni di coloro che dicono di pensarlo, di immaginarlo o di sentirlo presente nella preghiera o al di fuori di essa.
Afferma San Francesco di Sales: “Or, quand je parle du sacré sentiment de la présence de Dieu, en cet endroit, je n’entends pas parler du sentiment sensible, mais de celui qui réside en la cime et suprême pointe de l’esprit”.
Il “sentire” la presenza di Dio è una esperienza interna ed in-mediata, diversa da quella sensibile, perché i sensi non vi partecipano; non è neanche una esperienza razionale, intellettuale, ma “mistica”. Questo “sentimento”, questo “sentido”, si ha là dove le nostre facoltà superiori vengono “unificate” e rese un unico dinamismo spirituale. Nessuno sa spiegare chiaramente che cosa sia questo “modo nuovo di sentire”, ma le facoltà dell’anima, non più distinte ma unite, vengono richiamate nel punto in cui Dio “tocca” l’anima (nel suo fondo) e si unisce a lei. L’effetto di questa invasione non si riduce a emozioni più o meno tenui, è una vera e propria folgorazione, per la quale non si può rivendicare alcun merito, in quanto Dio, nella Sua sovrana libertà, la dà a chi vuole, quando vuole e come vuole. Non che Dio faccia delle preferenze o abbia delle simpatie. Egli riserva però certi doni a quanti devono compiere una determinata missione utile al bene dell’umanità.
E’ propriamente questo il fine della grazia “gratis data”. Viene subito da chiedersi: è mai possibile che Dio sia presente dentro di noi? Come può il Creatore dell’universo trovare spazio in una sua creatura e, proprio perché tale, così piccola in confronto a Lui? Purtroppo noi moderni non siamo più capaci di ragionare in termini spirituali; siamo tutti materialisti. Eppure, il nostro essere proprio è spirituale e infinito. Dio è Amore – dice la Bibbia – cioè un essere in perenne “ex-stasis”, cioè tutto fuori di sé, rivolto verso l’oggetto del suo amore, che siamo noi. E poiché Egli, che è l’Amore, ama perfettamente, allora si può dire senza timore di esagerare che Dio è più in noi che in se stesso, ama più noi che se stesso. Ecco perché noi siamo il luogo della Sua presenza. Può sembrare inaudito che Dio dentro di noi non stia stretto, ma è proprio così. Qui si fonda tutta l’antropologia e l’eccelsa dignità spirituale dell’essere umano. Di questo annuncio i mistici sono gli araldi più convincenti.
Questa grazia è specialissima, straordinaria e non ha niente a che vedere con fenomeni miracolosi di vario genere (aure luminose, levitazione, stimmate ecc.). Neppure consiste nelle “visioni” o nelle “locuzioni interiori”. Quest’ultime non son altro che epifenomeni, cioè fenomeni secondari, marginali, in cui, si, è possibile l’intervento divino, ma a cui si aggiunge sempre il concorso dell’uomo; la nostra natura vi partecipa considerevolmente. In genere queste apparizioni o rivelazioni, sono facili da descrivere. I veggenti si intratterranno a precisare quanto hanno visto o udito, ma la grazia dell’unione con Dio, nell’esperienza di cui stiamo trattando, è qualcosa di molto più spirituale e ben più difficile da descrivere; non si potrà darla in pasto ai giornalisti o ai telespettatori, con grande stizza da parte dei mass media.
Il mistico non vede nulla, non ode alcuna parola. Dio lo conduce, misteriosamente, nell’abisso inaccessibile della Sua essenza a godere del Puro Amore. Là Egli sarà luce abbagliante che acceca ogni nostra capacità sensoriale, oscurerà il nostro intendimento. Si dirà subito che la mistica spazia nel campo dell’irrazionalità, della non conoscenza, dell’indistinto. No! Dio non ci toglie nulla, né può mortificare le facoltà di cui ci ha arricchiti. Egli piuttosto, nel fondo assoluto dell’anima, ci attirerà, facendoci scoprire la Sua presenza, offrendoci il Suo lume soprannaturale, il Suo intendimento e, come ripeterà San Giovanni della Croce nel Cantico spirituale e nella Fiamma d’Amor viva, fornendoci addirittura del Suo modo di sentire. In questo incontro unitivo, Dio, per il mistero dell’Incarnazione, si spoglierà della Sua divinità, rivestendoci di Sè, divinizzandoci. Il nostro amore e la nostra conoscenza allora, lungi dall’essere annullate, saranno potenziate, fino a divenire veramente perfette in Lui, secondo la misura della grazia.

JESU DULCIS MEMORIA

Gesù, dolce ricordo,
Tu dai le vere gioie del cuore,
ma più del miele e di ogni altra cosa
è dolce la Tua presenza.
Nulla si canta con più soavità
nulla si ode con più gioia
nulla si può pensare più dolce
nulla più di Gesù Figlio di Dio.
O Gesù, speranza dei penitenti,
come sei benevolo verso quanti ti implorano!
Come sei buono verso quanti ti cercano!
Ma che cosa sei per chi ti trova?!
E’ impossibile dirlo a parole nè esprimerlo con lettera;
lo può dire solo chi ne ha fatto esperienza
cosa sia amare Gesù.
Sia Cristo la nostra gioia
sia Lui il futuro premio
la nostra gloria sia in Te
per tutti i secoli,
per sempre.

(Canto gregoriano attribuito a San Bernardo)