3.3 Divorzio tra teologia e spiritualità

Il contrasto fede-ragione, che lacera l’intimo di ogni autentico cristiano, ha la sua radice nel “divorzio tra Teologia e Spiritualità” prodottosi nel XII secolo (con Pietro Abelardo e Bernardo di Chiaravalle). Diamo una giustificazione al termine “divorzio”. Esso è correlativo ad un presupposto: che sia esistita una “unione” alla quale è seguita una “storia di separazione” dovuta a cause storicamente individuabili. E’ ormai certo, però, che ogni sforzo di riconciliazione poggiato su ragioni “non storiche” sia condannato al fallimento o causi anzi una separazione ancor più definitiva. L’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio e le pubblicazioni di Benedetto XVI sono stati gli ultimi tenui tentativi, andati a vuoto.

Certo, lo status quaestionis è negato in genere dai teologi e dai moralisti; per essi tutto è legato semplicemente ad una mancanza “accidentale” da collocarsi nel periodo successivo al Concilio di Trento perché, per essi, la Spiritualità, o fa parte integrante della Teologia speculativa o è un ramo della Morale, intesa come scienza d’azione. Per cui la Spiritualità, secondo costoro, dovrebbe essere “Teologia vissuta” (per Marco Vannini “Filosofia vissuta”). E la vera devozione e tutte le correnti spirituali con i loro insegnamenti non son altro che delle “dottrine sparse” che ne costituiscono il fenomeno, per cosi dire, “sottosviluppato”. Non si accetta dunque, di fatto, una “separazione” tra la Teologia ed una delle sue applicazioni.

A Rahner va il plauso di aver sganciato la Spiritualità dalla Morale e di averla annessa alla Dogmatica al fine di liberarla da una grande schiavitù. Egli, quando mette in relazione la mistica e la morale (e ciò che egli dice della mistica nel suo “Lexikon für Theologie und Kirche” vale per tutta la vita spirituale), giustamente osserva che le norme, le leggi dell’agire umano sono in funzione della perfezione, sono via o espressione di un’ascensione spirituale, dell’unione con Dio. La morale dunque serve la vita, dice Rahner, non la vita la morale. Eppure, ancor oggi, in molte Facoltà Teologiche, la Spiritualità è considerata un’ “appendice” della Teologia Morale, e fa parte di essa, ed è ad essa sottomessa.

Con Rahner dunque la Spiritualità può essere considerata una “disciplina” e non essere più esclusa dal titolo di “Facoltà teologica”. Ora, è lecito chiedersi: ma non sarà un cadere tra Scilla e Cariddi? I mistici saranno più felici di essere sottomessi alle griglie concettuali della Dogmatica anziché essere letti secondo l’impronta della Teologia morale?

Certo, già nel XVIII secolo la Teologia era divenuta aridamente disputatrice, al punto che lo stesso Voltaire se ne stancava. Scrive: “Ma non disputate affatto; i disegni eterni nascosti nel seno di Dio, son troppo lontani dai mortali. Il poco che noi sappiamo in maniera certa, frivolo come noi, non vale tanta pena. Il mondo è pieno d’errori, ma da ciò io concludo che predicare la ragione non è che un errore in più”. (Oeuvres completes t. 34,567)

I fatti che stiamo considerando sono veri, ma descrivono le ultime conseguenze del “divorzio”, non la sua origine. L’esponente più autorevole tra quelli che ammettono, di fatto, il divorzio tra Teologia e Spiritualità è Yves Congar. Egli, in tutta la sua produzione bibliografica, tratta delle relazioni tra Teologia e Filosofia e ignora la Spiritualità o la tratta come parte integrante della Teologia, pur riconoscendo la separazione sempre crescente tra Teologia e Spiritualità, a partire dal XV secolo. Per Congar, colpevole è il “nominalismo”, forse non ancora nel suo precursore Durandus a S. Porciano (†1334) e già in radice in Ockham (†1347), ma certamente nei loro seguaci. Dall’indagine storica del P. Congar tutti gli elementi vanno considerati come “conseguenze” del nominalismo. Egli ammette “una certa rottura tra Filosofia e Teologia, e ugualmente tra Filosofia, conoscenza razionale, e Religione. Da qui la separazione tra due ordini di cose…: da una parte una realtà puramente religiosa, una spiritualità della fede, una mistica dell’esperienza interiore, che non è più alimentata da un’attività propriamente speculativa o teologica, dall’altra una specializzazione propriamente dialettica e formale in cui una logica fortissimamente critica si applica a delle questioni scolastiche…” “Nella prima linea si troverà Gerson, il quale d’altraparte si nutre di San Bonaventura, poi i mistici della “devotio moderna” nei quali Lutero troverà qualche consolazione spirituale; nella seconda linea i trattati dei nominalisti… poiché, malgrado l’ispirazione religiosa della loro stessa critica, l’opera teologica in essi si presenta come un trattato logico, dialettico e critico, di questioni di scuola (…) la diffidenza punterà, se non a considerare gli eccessi commessi nell’uso della dialettica, a preconizzare, nel XIV secolo, in senso religioso, molto più che per esigenze scientifiche, una riforma della Teologia in una linea principalmente orientata ai bisogni spirituali delle anime. Così Gerson, Nicola di Clémanges, Nicola di Strasburgo e altri, come Nicolò Cusano e Guglielmo Durand il giovane, richiameranno, come rimedio ad uno stato della Teologia che essi giudicano troppo severamente, un ritorno allo studio delle fonti”.

In quanto alla relazione tra Filosofia e Teologia e circa la loro interazione, la descrizione di Congar probabilmente è corretta, ma per quanto riguarda l’applicazione dei dati della Spiritualità, il domenicano francese può essere criticato: perché confonde i secoli, colloca persone e trattati in correnti sbagliate. Gerson e Nicolò Cusano infatti furono gli ultimi ad aver tentato di ricostruire l’unione tra Teologia e Spiritualità, purtroppo invano. Gerson (†1429) volle ripensare la tarda Teologia scolastica in modo tale da non escluderla dalla realtà, ma tentando di renderla capace di esprimere l’esperienza religiosa; compito impossibile per la Teologia attuale. Il Cusano (†1464), arrivando con il suo nuovo metodo di filosofare, ne avrebbe potuto fare uno strumento valido ad integrare le fonti quando ormai la Devotio Moderna e, al principio del sec. XVI Erasmo da Rotterdam, stavano elaborando un nuovo stile teologico che “esaminava” i testi (filologicamente) anziché “adoperarli” per qualche ragionamento. E così, per questa riunificazione fallita, noi ancora oggi, dopo quasi sei secoli dalla morte del Cusano continuiamo solo a disputare e a non pensare.

Congar aggiunge: “alla svalorizzazione della conoscenza razionale corrisponde necessariamente un’attitudine fideista. Le due cose si determinano secondo una proporzione rigorosa. Non che si debbano tacciare i nominalisti di fideismo totale, ma, nell’insieme, il fideismo è un’attitudine diffusasi con loro.”

Congar non fa altro che descrivere la comparsa della separazione in questione come un caso quasi clinico, e quasi come l’epilogo della malattia. Ma nel XV secolo il “divorzio” conta già più di tre secoli. In questo modo si potrebbe fare una diagnosi analoga della situazione rifacendoci ad oggi, ma senza ricercarne le vere origini sarebbe un “diagnosticare dai sintomi”, senza individuare le cause.

Inoltre la giusta collocazione del divorzio tra Teologia e Spiritualità nel XII secolo non deve farci dimenticare l’autentica grandezza della Teologia scolastica nel suo campo. Essa procedeva da una grande fiducia nell’intelletto umano e nella sua forza di speculazione; “questa esaltazione della conoscenza ebbe significato per se stessa, come in San Tommaso, là dove essa non riceveva validità che per la fede e per la teologia. Essa ha sempre valore in se stessa.

Congar descrive la decadenza con fatti tardivi veri, ma presuppone un “paradiso perduto” di armonia nel sec. XIII, che non è mai esistito. Egli accusa “l’eccessiva prepotenza di un metodo troppo esclusivamente razionale e logico. Il XIII secolo – egli aggiunge – aveva sentito la gravità di questi problemi e aveva donato loro una soluzione metodologica e pedagogica.” Non dice che, appunto il XIII secolo, facendo della “qaestio disputata” il metodo classico per eccellenza, aveva precluso ogni ritorno ad una trattazione più completa e meno esiguamente “logica”. Egli, giustamente, rimarca che questo divorzio si sviluppò nelle “scuole” e divenne un affare di “magistri”, per cui la Teologia perse il contatto con la vita della Chiesa.

Questa situazione, in quel periodo, era già inveterata, tanto da potersi difficilmente correggere. La perdita del contatto con la “vita della Chiesa” sarebbe un aspetto innegabile che andrebbe indagato e studiato, ma non costituisce l’oggetto della nostra attuale ricerca; tuttavia, constatando che si verifica una alienazione tra Teologia e Spiritualità, tra teologia e vita ecclesiale, le cause del perpetuarsi del fenomeno sembrano implicare una deviazione della Teologia piuttosto che della Spiritualità.

Le gravi conseguenze di questo “divorzio” per la civiltà cristiana sono state formulate da due autorità: J. DE GHELLINCK e E: GILSON. Il primo afferma che, nella coscienza ecclesiale, lo spazio fatto ai Padri, nella Chiesa, diminuisce in ragione dell’espansione delle opere di Aristotele e degli scolastici. Il secondo, per quanto riguarda la Filosofia, e dunque per le premesse di un umanesimo cristiano, rileva che “si è commesso lo sbaglio di filosofare sulle filosofie anziché filosofare sui problemi”.

Rimangono molte cose da dire circa i motivi di questa lunga separazione. In questa sede non possiamo soffermarci a lungo sulle considerazioni dei teologi riguardanti il “divorzio” in questione. Voglio solo accennare a come gli spirituali e i mistici guardano ad esso.

I testi degli spirituali non sono studiati durante gli studi ecclesiastici e nelle Università teologiche si è indotti a supporre che non rappresentino altro che le concezioni volgarizzate, ma identiche, dei teologi; in realtà rimangono terra sconosciuta. E’ impossibile colmare repentinamente questa lacuna e, comunque, nel tentativo di farlo bisognerebbe offrire allo studente una seria formazione letteraria, la presentazione del panorama storico in cui gli spirituali di ogni epoca sono vissuti e, infine, lo studio analitico, scientifico, induttivo, dei grandi capolavori letterari della mistica cristiana, delle testimonianze degli spirituali. Per noi, in questo studio limitato, basti accennare ai grandi esempi rappresentativi.

Bisogna distinguere inoltre tra gli spirituali e gli studi su di essi, che spesso sono pubblicati da storici della teologia, da storici della filosofia. Ad esempio, per quanto riguarda Eckhart, anziché considerarlo e studiarlo attraverso i “sistemi concettuali” di Denifle, Brabmann, Stein-Büchel, Karrer o Vandenbroucke o Vannini, bisognerebbe accostarlo attraverso l’opera davvero unica di Aloïs Dempf, “Meister Eckhart”, Freiburg 1960.

Dempf è uno storico della cultura, laureato per altro anche in Teologia, desideroso di acquisire sempre più competenza per poter parlare dei movimenti spirituali del medioevo. La qualità del suo libro è legata al fatto che il suo è uno studio “sull’autore”, preso “dall’autore” e non soltanto una sintesi personale condizionata da sistemi linguistico-tecnici preesistenti. Buoni studi sono anche quelli condotti dalla filologa Jeanne Ancelet Hustache, “MaÎtre Eckhart et la mystique rhénane”, Paris 1956.

Non esistono, ad esempio, studi comparati sugli spirituali fiamminghi; una buona presentazione del materiale documentato la si trova in Axters, “Geschiedenis van de Vroomheid in de Nederlanden”, Antwerpen 1950-60, 4 voll.

Una difficoltà oggettiva per lo studio degli spirituali è che manca un giudizio comune, universale, su di loro. E’ necessario quindi trattarli separatamente.

Dempf arriva a chiarire che Eckhart venne a trovarsi in un vicolo cieco, percorse una strada senza uscita, poiché il Magister Theologiae tentò di introdurre e sistemare la “vita vissuta” nell’apparato concettuale teologico del quale disponeva. Quando invece, come Provinciale dell’Ordine, trasmise un insegnamento con la predicazione, nel dare le sue istruzioni ai suoi figli spirituali, alle suore, quando scrisse il suo libello consolatorio rivolgendosi ad anime non teologiche, allora divenne chiaro, affascinante.

Eckhart ha dunque creduto all’unione tra Teologia e Spiritualità ed ha anche cercato di realizzarla, ma senza riuscirvi.

Suso e Tauler non producono un sistema teologico e non cercano di giustificare la vita interiore; la descrivono semplicemente.

Il movimento mistico femminile possedeva tutti gli elementi necessari per delineare una teologia della vita spirituale, ma non è riuscito a fare una sintesi. Le grandi mistiche medievali, in genere, corrispondendo tra loro fanno anche degli “excursus” teologici, ma non si fidano dei teologi.

In Beatrijs, Hadewijch, Mechtild si nota questa sfiducia. In Caterina da Siena sono presenti ed evidenti due sistemi linguistici: uno “teologico domenicano” e uno “mistico”, che danno un carattere lacerante e irrequieto allo sforzo della Santa di formulare e comunicare la sua esperienza. Purtroppo, per la Santa senese, mancano gli elementi primari per uno studio filologico, per l’esame semantico della sua terminologia.

Ruusbroec (†1381), di fronte a questa situazione di “divorzio”, non esprime opinioni; si oppone alla divulgazione dei suoi primi trattati e, solo in un secondo tempo, sembra accettare l’inevitabile diffusione dei suoi capolavori e si preoccupa subito di curare meglio le sue espressioni per evitare inutili discussioni con i teologi. Formula però un suo sistema teologico, e lo adopera. Ne fa una sintesi in “Die gheestelike Brulochot” (”Le nozze spirituali”), in “Een Spieghel der eeuwigher Salicheit” (”Lo specchio dell’eterna beatitudine”) e in “Vanden blinckenden Steen” (”La pietra sfolgorante”); fa così per ordinare la sua esposizione della vita spirituale, ma non per dimostrarne l’esattezza. E’ una vera sintesi teologica, che ha valore in sé, ma che i teologi non hanno mai letto nell’apparato terminologico dell’autore in medio-nerlandese.

Hendrik Herp (Harphius) (†1478), opera una sintesi così perfetta tra Spiritualità e Teologia al punto che la sua “chiave” gli otterrà un successo universale che però quasi istituzionalizzerà l’equivoco di una Spiritualità descritta teologicamente. Neanche Cognet è riuscito a dare della dottrina di Herp una presentazione coerente. Infatti bisognerebbe risolvere le sue ambiguità terminologiche. I mistici, Teresa d’Avila, Benedetto da Canfield, il Canisio, lo capiscono senza preoccuparsi dell’equivoco. I teologi invece lo condannano perché usa un vocabolario teologico che non è adatto all’esperienza descritta.

Ignazio di Loyola (†1556), non ha neanche tentato di fare l’unione; i suoi scritti erano già stati condannati diverse volte dai teologi.

Erasmo da Rotterdam (†1536) crede nella possibilità di una unione tra Teologia e Spiritualità, ma vuole fondare una Spiritualità incentrata sull’unione personale con Gesù Cristo e costruita su solide basi bibliche. Il suo sforzo teologico punterà alla ricognizione e allo studio delle fonti cristiane dei primi secoli. Erasmo dice: l’intelligenza di queste fonti suppone una cultura “più umanista”. La via tracciata da Erasmo è ancora tutta da percorrere…

Dal XVI secolo in poi quasi tutti gli spirituali saranno, almeno per qualche tempo, perseguitati o condannati dai teologi. In genere lo si apprende da altre fonti, perchè gli stessi spirituali non ne parlano nei loro scritti, ma non per la carità eroica che dimostrano, quanto piuttosto perché avevano cose molto più umportanti da comunicare e queste difficoltà non andavano menzionate né sottoposte alla pubblica attenzione. Ma succede spesso che vengano difesi da altri: così Jean-Joseph Surin, nel 1585, dedica la sua “Guida spirituale” a Sant’Ignazio e dice: “Ci resta di perlare dei mistici. I principali sono, in primo luogo, San Dionigi Areopagita, che scopre i segreti della profonda economia della grazia e le operazioni dello Spirito Santo. Egli è difficile da capire senza l’aiuto di coloro che hanno scritto successivamente, come S. Bonaventura, Dionigi il Certosino, il Cancelliere Gerson o Blosius. Oltre questi, ci sono alcuni autori profondissimi che hanno trattato la stessa materia; la loro lettura per qualcuno è pericolosa a causa dei loro termini e delle libertà che si sono presi per spiegare le cose soprannaturali. Quattro sono i principali: Tauler, Ruusbroec, Harphius e Enrico Suso. Non è conveniente che persone non preparate in materia leggano questi autori a causa della loro profondità e astrazione e quanto malamente riguardo a ciò sono stati biasimati da qualche dottore scolastico che ha creduto, a ragione della propria scienza, di avere il diritto di giudicare simili autori e, non potendo comprenderli, allora li ha condannati, perchè non era ammissibile che esistesse qualcosa di teologico che non potesse essere sottomesso al giudizio di costoro.

Sarà mai possibile che un dottore scolastico, ferrato e competente nella scienza che professa, non possa intendere ciò che dice un dottore mistico? Sì, certamente, egli non ha altro da fare che essere dottore scolastico…” (Ed. M. De Certeau, S.J., coll. Christus 12, Paris, 1963, p. 178.)

Certau aggiunge in nota: “Taulero, Ruusbroec, Herp e Suso erano in effetti nell’ordinanza del P. Generale Evrard Mercurian (1575) tra gli autori la cui lettura venne interdetta senza una autorizzazione speciale”. Probabilmente questo divieto di lettura ai gesuiti, che poi si allargò ad altri Ordini, prova che nel Rinascimento era quanto mai in auge il divorzio di cui stiamo parlando. Inoltre, gli autori mistici vietati erano tutt’altro che dimenticati alla fine del XV secolo.

Che l’antagonismo tra Spiritualità e Teologia era vivo nella Compagnia di Gesù lo dimostra anche il fatto che i certosini di Colonia avevano dedicato la seconda edizione della loro versione latina “Theologia Mystica” di Herp a:
“Reverendo, eidemquae celeberrimo Patri ac Domino D. Ignatio ac Patrum de Societate Nominis Iesu Praeposito dignissimo, caeterisque omnibus venerabilibus spectatissimisque eiusdem societatis patribus ac fratribus, F. Brun Loher Carthusiae Agrippinensis Procurator…1555?.

Per il secolo XVII basterà leggere J. Orcibal, “La rencontre du Carmel thérésien avec les mystiques du Nord”, Paris 1955.

Questo rapido sguardo d’insieme non suggerisce solo che gli autori in questione andrebbero studiati singolarmente al fine di far chiarezza sulla storia del divorzio dal loro punto di vista, ma anche che un tale studio dovrebbe essere condotto secondo un metodo che renda i testi mistici e spirituali efficaci perchè presi sul serio. La questione è se esiste attualmente un tale metodo.