3.8 Via apofatica o negativa

SULLA VIA NEGATIVA

Ecco alcune “considerazioni” sulla via negativa:
Manuali e libri vedono nelle correnti mistiche cristiane una diretta dipendenza dalle scuole platoniche; quasi nessuno evidenzia – ad esempio – l’influsso considerevole di Filone d’Alessandria o la partecipazione alla medesima esperienza. Tutti, teologi e filosofi, leggono le testimonianze della via apofatica in termini teologico-ontologici, evidenziando una trascendenza estrema e l’impossibilità assoluta di parlare di ciò che infinitamente ci trascende. Ma qui sta l’errore: fare di Dio un “oggetto” ed evidenziare la capacità effettiva dell’uomo di giungere all’assoluto, “indirettamente” dicono gli aristotelico-tomisti, “direttamente” dice Plotino, in quanto abbiamo in noi una partecipazione alla divinità, all’emanazione. I platonici, in questa loro posizione, presentano un dannosissimo “dualismo”, che porta con sé l’idea della “purificazione” (dalla materia macchiata dal male), a differenza dell’ottimismo modesto degli aristotelici che, in fondo, dice: io non so incontrarlo, ma Lui sa e può incontrare me, grazie a una “nuova creazione” e mai “ex natura” (è la posizione di molti teologi).
Gli aristotelici si avvicinano a Dio “per correzione”, attraverso l’ “analogia”: non conosco la luce “in sé” ma, per analogia, osservando i corpi illuminati, deduco che esiste la luce. Quanti seguono Aristotele, “togliendo le imperfezioni”, applicano il loro bene a Dio… sarà anche appropriato, ma è sempre “il loro”, non “Dio”. E potendo incontrare Dio solo grazie ad una nuova creazione, Dio non sarà mai la loro felicità, perché la natura rimane esclusa, e Dio vive in un superattico al quale il loro ascensore non può arrivare.
I teologi si rifaranno tutti a Dionigi lo Pseudo-areopagita, perché in lui “tutto è soprannaturale”. La natura creata non potrà mai giungere a Dio. Così lo Pseudo-Dionigi esprime un soprannaturalismo in cui Dio è sempre “al di là”.
I mistici non si attardano su queste discussioni. Quando Gregorio di Nissa parla di “lontananza” la pone come conseguenza del peccato originale non la riferisce alla natura creata, al “corpus mortalitatis”, pur rifiutando insieme a Gregorio Magno (che è il più chiaro in questo senso) la spiritualizzazione estrema, tutta platonica, dell’uomo che deve liberare la scintilla divina della sua anima per incontrarsi con Dio. Il fratello di Basilio, nella “Vita di Mosè” descrive ben 8 volte (3 volte non chiaramente ma sempre in maniera comprensibile) ciò che noi chiamiamo “via negativa”.
Certo, è’ necessaria una “familiaritas”. I platonici vi si accostano “per esclusione”, attraverso l’ “anamnesi”: Dio è la Verità, il Bene, non lo possiedo, ma lo “riconosco”, perché ho l’idea di Dio, del Bene, in me. Il creato non è separato dal soprannaturale. E si cade nel panteismo.
Il Nuovo Testamento afferma il “contatto diretto”: “l’abbiamo toccato con le nostre mani…”, ma non parla di un’estrema, lontanissima, trascendenza, né di una assoluta, semplice, immanenza. In questo contatto, in questo incontro con Dio, si fa sempre l’esperienza del fallimento, che diventa la chiave di lettura di ogni autentica relazione d’amore. (Se il marito di una Donna dicesse: “Ho fatto tutto ciò che potevo fare, ecco lo stipendio, frutto della mia fatica! Ho dato tutto a mia moglie…” Povera moglie! Se invece dicesse: “Non so come meritarmi una donna così, mi sento mancante nell’offerta di tutta la mia vita”, allora la moglie sarà felice e il loro amore duraturo, perché hanno capito che nella esperienza del fallimento, nella donazione vicendevole, non si pongono limiti”. L’intimità non è un diritto, una rivendicazione, né una violenza: si riceve.)

Nella via negativa si può procedere in tre sensi:

PRIMO SENSO: “Cognoscitur Deo per id quod non est”. Dio è già posseduto, ma non ancora compreso, scoperto, afferrato; dunque si va per esclusione: non è questo, non è quello, ecc. Guglielmo di Saint Thierry dice: “Non è questo, non è quello”. A chi gli replica: “Come fai a dire ciò con tanta sicurezza?” Risponde: “Perché io conosco il vero. Ma non posso dimostrarlo”. “Cos’è allora il Vero?”. Risposta: “Non so comunicarlo”. Per Guglielmo la “ratio” corrisponde all’ “intelletto operativo”, la “mens” è qualcosa di “più intellettuale, più spirituale” e “semplificata”; la “contemplatio” è un “occhio interiore” capace di vedere Dio. La mia ragione è in grado di distinguere il vero dal falso, ma non di una “cognitio” diretta, che è “infusa”, e quindi informulabile, che non è mio possesso, ma che esiste. “La nostra arte è essere abbagliati dalla luce”, scrive Kafka. L’uomo rifugge però da ogni bagliore accecante. L’evidenza del vero, direbbe Ricoeur, risulta abbagliante dalla quantità di falsi. Il falso prova l’esistenza del vero. (Chiediamoci: perché solo negli Stati Uniti si contano un numero impressionante di falsi Corot? Perché esistono tanti grandi capolavori del pittore francese. E’ impossibile imitare ciò che non esiste. Nessuno fabbricherebbe banconote false da una banconota non in commercio, inesistente sul mercato. Se tu non hai mai visto un vero Tiziano non potrai mai distinguerlo dal falso! Come sai che è falso? Perché conosco il vero. Questa è la “via negationis”. E non è – per così dire – “correttiva”, cioè: non riuscirò mai, da un falso Corot, eliminando gradatamente tutti i difetti, a produrre un vero Corot. Forse, conoscerò sempre meglio i suoi procedimenti, ma possiederò una tela dipinta, non avrò mai un “vero Corot”). Non è assommando tutto ciò che non è Dio che si arriva a sapere cos’è Dio.
Non c’è prova più grande dei “valori spirituali” della sublimazione dell’istinto sessuale (castità, verginità ecc.) Sono “imitazione”, prova, della realtà di quei valori. Nel “De verginitate” di Gregorio di Nissa la verginità è esaltata non perché in sé abbia senso, né perchè è uno stato di vita superiore, ma solo perché è comunicata a coloro che sono chiamati.

Il SECONDO SENSO è inerente l’impossibilità di esprimere, di rendere, “Dio” nel linguaggio umano: tutti gli esseri sanno comunicare attraverso “segni”, gli uomini con “gesti e parole”, non si scappa: tutti, eccetto Dio. Dio è l’unico capace di dare ciò di cui l’uomo ammette di non poter dire niente. San Giovanni della Croce è il più severo in questo senso: “El mismo abla con su mismo” (Subida 29). La notte del Mistico carmelitano è “oscura” per le potenze naturali. Nell’unione mistica non esco dunque dal pensiero, ma dal mio modo basso di capire. Mi trovo in un pensiero più elevato, non in una assenza conoscitiva. Sono una cosa sola con la divina Sapienza, entro per così dire in una nuova sfera vitale, che io da me non posso darmi. Qui, dice Giovanni della Croce, c’è l’annientamento dell’operazione e del “trato umano” per ricevere operazione e “trato de Dios”. E l’estasi di San Paolo? E’ “vera”, non “negativa”, ma adopera un linguaggio negativo, perché non può esprimerla.

IL TERZO SENSO è il seguente: Dio è incomunicabile non perché è troppo trascendente, tanto è vero che dimora in noi, ma perché di Lui non posso parlare che in modo imperfetto, e l’esperienza della sua presenza non la posso comunicare che a colui che questa mia stessa esperienza l’ha già fatta. Qui le facoltà superiori dell’anima non sono che un unico dinamismo. L’uomo diventa “uno”, non più diviso, molteplice, giustapposto. Qui la psicologia non vale più, né si distingue più la superiorità dell’intelletto sulla volontà o viceversa. Amore e conoscenza qui sono una cosa sola. L’uomo, non è in grado di unificare, da solo, le sue facoltà psicologiche. E’ l’incontro mistico con Dio che muta in noi il processo psicologico.

E tutti e tre questi “sensi” affermano la VIA POSITIVA, le negazioni più positive della via apofatica. Si legge nel Libro dei ventiquattro filosofi: “Le idee delle cose presenti nell’anima, che rivelano ciò che in essa è contenuto e per le quali Dio è in qualche modo tutte le cose, è lui che le illumina nell’anima. Ma è dopo aver deposto tutte queste forme che l’anima contempla la divinità. Negando e rimuovendo da se stessa tutte le idee delle cose, si volge sopra di sé e vuole conoscere la causa prima. E l’intelletto nell’anima si ottenebra, poiché non riesce a sostenere quella luce increata. E così, quando si volge a se stesso, dice: Ecco, io sono nelle tenebre. ( Et obtenebratur intellectus animae, quia non est aptus ad illam lucem increatam. Unde cum ad se convertit, dicit: Hic mihi tenebrae sunt)”. Le nostre facoltà sono al buio in quanto non si sa più fare attenzione alle cose che sono dentro di noi, perché non ci si ferma in niente all’infuori di Dio. (Quando guardiamo un sole luminosissimo dobbiamo chiudere gli occhi non perché esso è invisibile, ma perché è troppo visibile e la sua luce ci acceca.) Né i Padri Alessandrini né i Cappadoci sono “più negativi”, come affermano i teologi; la via apofatica e la via katafatica non sono che due aspetti di uno stesso mistero.
E’ necessario saper studiare platonismo e cristianesimo, che ancora attendono una chiarificazione storica; e quelli che dicono: “Via con questo influsso greco! Liberiamo il cristianesimo dalle categorie platoniche!” Dimostrano di odiare il pensiero greco non perché “greco”, ma perché “pensiero”. Per loro il cristianesimo dovrebbe semplicemente “non essere pensiero”.
In questo sito non si scrive “sulla mistica”, ma sulla “letteratura mistica”. Nessun mistico infatti dirà mai: “Vieni nella mia anima quando sono a letto con lo Sposo divino”. I mistici sono esenti dal prurito della comunicazione. L’esibizionismo è sempre teologico, mai spirituale. Anche San Tommaso, quando parla della visione beatifica in realtà vuol dimostrare che il suo rasoio elettrico è il migliore; non tratta di problemi religiosi, ma della validità del suo sistema psicologico… Certo, così salvò la filosofia cristiana, e questo era necessario per salvare la fede, che era arretrata, separata dalla cultura, ma ne consegue che le sue trattazioni non riguardano problemi religiosi ma culturali. Voleva dimostrare che la fede si accordava benissimo con il suo nuovo sistema filosofico, modernissimo. Con ciò vogliamo dire che la teologia aristotelico-tomista è falsa? No! E’ vera e assolutamente certa, ma “indiretta”, tratta di un Assente.

Forse un giorno si insegnerà Teologia salvifica.